A partire da Novembre la Colonna propone le domeniche del bollito, uno dei piatti padani per eccellenza (presente dal Piemonte all’Emilia) che restituisce l’atmosfera della famiglia riunita intorno a un grande tavolo nel giorno di festa mentre fuori fa freddo. La stagione dei bolliti, infatti, si protrae per tutto l’autunno  e l’inverno.

Il menù del pranzo comprende la gallina ripiena, la testina e la lingua di vitello, il biancostato e la pernice di manzo, la tasca ripiena, il salame cotto. Le carni sono accompagnate da tre salse (verde, ai peperoni, alle verdure cotte) dal purè di patate, dalle verdure cotte e dalla mostarda.

Prima dei bolliti sono serviti gli anolini in brodo fatti in casa e a fine pasto torte e dolci tradizionali come il tiramisù, la ciambella con lo zabaione, torta di mele.


Il Gran Bollito per una Domenica in famiglia

L’iniziativa non solo intende rilanciare una tradizione ormai sbiadita, il pranzo della domenica per le famiglie, ma vuole restare fedele alla filosofia dell’alimentazione a chilometro zero.

Sia le carni che i salumi utilizzati per realizzare i piatti, infatti, provengono interamente da aziende della nostra provincia, allevamenti e salumifici che lavorano cercando di essere fedeli al territorio e alle tradizioni.

Il Gran Carrello dei Bolliti è sempre accompagnato da un kit di deliziose salsine e mostarda.


Un menù che ritorna alle tradizioni padane della società preindustriale

Un bell’articolo del giornalista enogastronomico Stefano Quagliaroli pubblicato sul quotidiano Libertà  in occasione dell’avvio dell’iniziativa proposta da Ettore e Stefano Ferri, ripercorre la storia e i significati legati a questa nostra tradizione gastronomica.

Disponendo di una macchina del tempo si potrebbe andare a curiosare in una casa padronale di campagna del primo Novecento, una domenica d’inverno a mezzogiorno, tanto a Bologna come sulle colline di Langa, passando per le valli di Piacenza.

Oppure anche in una casa di mezzadri ragionevolmente benestanti, durante una festa comandata.

Il menù era probabilmente simile, se in casa c’erano le compite vestali della tradizione, le madri, assecondate e talvolta sottomesse al pater familias, il razdur, che dispensava saggezza culinaria insieme a regole eterne di convivenza.

Dapprima gli anolini in brodo, o gli agnolotti del plin in Piemonte o i tortellini a Bologna, poi il bollito misto, che aveva già compiuto la sua missione di produrre un brodo in terza, dai sapori e dagli aromi che riempivano le stanze e le riscaldavano.

Il gran bollito, più nobile del prosaico lesso, si componeva di testina e lingua di vitello, pernice di manzo, salame cotto e cotechino, gallina ripiena o il più grasso cappone nelle feste di Natale, talvolta le costine di maiale.

Per bilanciare l’eccesso di grassi si ricorreva alla gustosa acidità delle salse, quella verde classica a base di prezzemolo e aglio o quella di peperoni, spesso quelli verdi tenuti nell’aceto, alla giardiniera di verdure e alla mostarda.

Era un gran mangiare, quasi una messa cantata della gola dopo la messa vera, senza la quale non ci si sedeva a tavola perché sembrava quasi blasfemia.

Dopo, levata la mensa, ci si alzava sereni e satolli, mentre fuori l’imbrunire era già annunciato da un sole lontano e calante.

Non rimaneva che un giro sotto i portici nebbiosi del paese o del capoluogo per poi tornare a sera di nuovo a tavola per finire gli anolini.

Il lesso si rigovernava, nelle famiglie borghesi si metteva in gelatina, magari con tartufi e altri preziosi inserti; nella famiglia del mezzadro lo si condiva insieme alle cipolle sottili e diventava una nuova cena nei giorni successivi. Il bollito insomma, come accadeva spesso per tanti altri piatti, non lo si mangiava soltanto, lo si viveva e lo si recitava, era simbolo e sostanza, famiglia e nutrimento.

Nella stagione fredda, proprio quando si celebrano i morti e i santi, l’inizio di un novembre solitamente freddo, illuminato talvolta dall’ultimo potente sole dell’estate di San Martino, tornano a galla queste memorie di un passato che accomuna le popolazioni padane ma che non si vivono più come un tempo.

Compito di un ristorante è talvolta quello di recuperare la memoria degli uomini, far loro riprovare le emozioni di epoche che sembrano lontanissime.

Stefano Quagliaroli, Libertà